top of page
sfondocapitoli.jpg

Oscuro desiderio

Capitolo 1

​

Tump… tump… tump tump…

Il rumore riecheggia nell’aria, accompagnando il magma di pensieri che ormai mi tormentano da giorni. C’è solo una domanda nella mia testa, e si ripete in una nenia infinita che mi lacera l’anima: “Perché? Perché? Perché?”

Saltello sui piedi e giro intorno al sacco che pende dal soffitto, morto come morta sono io, dentro. Le mani strette a pugno, come se dovessi difendermi da qualcuno, ma il mio avversario è solo nella mente.

Niente guanti stamattina. Voglio sentire il dolore fisico. Ne ho bisogno. Forse mi aiuterà a cancellare, almeno per un po’, questa terribile sensazione di impotenza che mi sta consumando. 

Scatto in avanti e sferro una scarica di colpi, uno dietro l’altro, con talmente tanta forza da far sanguinare, finalmente, le nocche. Sono così arrabbiata che sento il sapore della bile in bocca, oltre quella del sangue, quando mi lecco la ferita.

Dannazione! Come vorrei che al posto di questo sacco ci fosse la sua faccia di merda. Ormai sono quasi tre mesi che riverso su di esso la mia rabbia. All’inizio mi muovevo con l’agilità di un elefante, ora, invece, sembro Hilary Swank in Million Dollar Baby. Potrei essere pronta per il match del secolo: Clara D’Ambrosio contro Gianni Bracci. E quel bastardo finirebbe spiaccicato contro le corde del ring.

Il sudore m’imperla la fronte, colandomi giù per il viso; anche la maglietta è completamente fradicia. Mi fermo ad asciugarmi. Bruciano maledettamente le gocce di sudore dentro gli occhi. Mi guardo le mani. Le nocche sono rosse e tumefatte. Ci sono punti in cui le gocce di sangue scivolano tra le dita colorandole di rosso. Le tampono con lo stesso asciugamano e decido di farle riposare. Ma non smetto. Passo di nuovo ai calci, muovendomi in cerchio e colpendo il sacco sempre nello stesso punto, con forza. Mi scorre talmente tanta adrenalina in corpo, che la fatica e il dolore sono solo soavi sensazioni. Di sicuro domani avrò pesanti lividi all’altezza della tibia ma non m’importa, li coprirò con il paio di pantaloni a palazzo di colore nero che ho acquistato ieri. Erano in saldo. Ottanta euro spesi bene. Sono perfetti sia per l’ufficio che per un’uscita serale in…

Un’uscita dove? Dove accidenti posso andare? E poi, con chi?

Grugnisco forte. Il colpo è stato troppo energico. Rischio di rompermela, la tibia, se non mi calmo. Ok, time out.

Bevo un sorso d’acqua dalla bottiglietta, poi mi decido a indossare i sotto guanti prima dei guantoni. Basta fare l’eroina. Tanto più che le mani si vedono. Coprirle al lavoro significherebbe dover rispondere alle domande curiose dei colleghi.

Ricomincio a tirare pugni, con maggior impeto. Le mani sono al sicuro e posso sfogarmi senza paura di rompermele.

Vado avanti così per qualche minuto, sino a che torno di nuovo ad alternare pugni e calci. E ogni volta che immagino la faccia di quella canaglia, i miei colpi sono più violenti e più precisi. Lo vorrei pestare a sangue, lui e la sua stupida puttanella.

«Brutto stronzo bastardo!» sussurro, digrignando i denti.

La collera che mi pervade pompa i miei muscoli. Sono piena di energia, forte come mai avrei pensato di poter essere.

Tump… tump tump tump…

Mi piacerebbe fermarmi un’altra ora, ma alle quindici ho l’appuntamento dal ginecologo. Da quando mia sorella Sabrina si è ammalata, ogni anno mi sottopongo a un checkup completo, di prevenzione. Fortunatamente lei ha superato tutto, ma i dottori l’hanno avvisata di tenere sempre alta la guardia, e hanno raccomandato anche a me di fare controlli periodici.

«Sa, signora, queste malattie hanno una forte componente genetica», mi disse il primario, il giorno in cui la dimisero dal reparto dove era stata operata.

Chissà se poi è vera questa storia della genetica, o se, invece, non è la frase d’effetto pronunciata per impedirti di fare ulteriori domande.

Avrei potuto chiedere un permesso a lavoro, con due ore sarei andata e tornata. Però ho preferito prendermi il giorno libero. Volevo approfittare per fare il cambio di stagione. L’armadio è pieno di capi estivi che non vanno più bene. L’inverno è alle porte. Questa mattina mi sono alzata presto, appositamente. Cambiare di posto agli indumenti è sempre una gran rottura e prima lo faccio, meglio è.

Certo, non mi sarei mai aspettata di imbattermi in una camicia di Gianni, la sua preferita, quella che gli ha regalato la madre al suo ultimo compleanno.

Ed è stato allora che i ricordi sono improvvisamente riaffiorati e le lacrime insieme con essi. Così, dopo dieci minuti di pianto ininterrotto, mi sono cambiata e, afferrato il borsone che tengo sempre pronto dietro la porta, sono venuta di corsa in palestra.

Non capisco come qualcosa di quello stronzo si trovi ancora tra la mia roba. La dottoressa Corelli lo giustificherebbe come un atto mancato, cioè volevo liberarmi di tutto ciò che gli appartiene e, invece, qualche mio desiderio inconscio ha fatto sì che me la dimenticassi. 

È inutile, comunque, che menta a me stessa dicendo che anch’io, qualche volta, indosso delle camicie di taglio maschile sotto i completi austeri che uso al lavoro e, quindi, quella camicia potrei averla riposta tra i miei vestiti per sbaglio. La verità è che forse ho voluto trattenere qualcosa di suo, qualcosa che è stato a diretto contatto col suo bel torace, ampio e forte, sul quale tante notti mi sono addormentata sentendomi al sicuro.

Tump… Tump tump tump.

Quando se n’è andato, quel farabutto mi ha svuotata completamente, portandosi via anche la mia voglia di vivere. Sono stata così male. Per una settimana sono rimasta tappata in casa, sforzandomi di mangiare il minimo indispensabile per sopravvivere. La televisione era accesa giorno e notte, ma io ero chiusa a qualsiasi stimolo. Che fossi nel letto o sul divano, il mio sguardo era perso nel vuoto come quello di una povera malata di mente. 

Tump… tump… tump.

«Vaffanculo, Gianni. Vaffanculo, te e la tua stupida troietta.»

Questa volta l’ho detto a voce alta, tanto nessuno può sentirmi. A quest’ora la palestra è sempre vuota, la maggior parte degli iscritti si concentra nelle ore serali, oppure dopo cena.

Giulia, il personal trainer, è in fondo all’enorme sala. La vedo con la coda dell’occhio. È assorta nel conversare con un uomo. Ogni tanto la sento emettere dei gridolini divertiti, che mi fanno pensare al casino che fa l’oca di mia zia, quando ti avvicini al pollaio. L’uomo invece non lo sento. È di spalle e non mi soffermo a guardarlo. Non mi interessa. Sono venuta qui solo per scaricare la tensione che mi attanaglia le viscere, non per socializzare. Meno che meno con un uomo.

Quando sono entrata in palestra, ho salutato Giulia frettolosamente e sono subito andata verso il tapis roulant, per riscaldarmi i muscoli. Non mi ero neppure accorta che ci fosse qualcun altro. Forse l’uomo è arrivato dopo, ma io non l’ho notato perché, in genere, non alzo mai gli occhi dal display della macchina. Preferisco controllare i miei battiti, la velocità e il tempo, piuttosto che prestare attenzione a quegli stronzi che cercano di farsi bicipiti e tartarughe da esibire in giro, come fa il pavone quando sventaglia la coda davanti alle femmine. Sicuramente qualcuno di loro è pure sposato, e tutta la cura che riserva ai suoi muscoli non è per far felice la moglie, bensì per confondere qualche poveraccia, illusa di essere unica e insostituibile.

Ma si rendono conto di quanto sono ridicoli, quando emettono quei gemiti gutturali, ripetuti ritmicamente - “aah… aah… aah” - mentre cercano di sollevare pesi troppo al di sopra delle loro possibilità? Sembra come se stessero scopando qualcuna e volessero far sentire anche agli altri quanto sono bravi e potenti. Che schifo!

Non so se si è capito, ma in questo periodo detesto i rappresentanti del sesso maschile: bastardi egoisti, sempre a prendere senza dare nulla in cambio, o comunque, non quanto noi. Solo e sempre concentrati su se stessi, figli di mamme chiocce che non li hanno fatti crescere, rendendoli degli eterni Peter Pan. Mi verrebbe voglia di buttarli fuori dalla finestra, solo per vedere se almeno sanno volare, visto che per il resto non sanno fare niente di niente.

Abbandono il sacco e mi avvicino alla zona delle macchine isotoniche. Mi resta ancora un po’ di tempo per gli esercizi di tonificazione.

Giulia mi passa davanti e mi chiama per salutarmi. Sta andando via. L’uomo non lo vedo. Dov’è finito? Do una rapida occhiata in giro per controllare se sono rimasta sola.

Lo osservo riflesso negli specchi che rivestono le pareti davanti a me. Si sta avviando verso lo spogliatoio, e nel mentre si asciuga il sudore con la maglia che si è appena tolto. Non mi soffermo a osservarlo. Sono troppo presa dallo sforzo di alzare trenta chili con la lat machine e poi, ripeto, gli uomini in questo periodo preferisco tenerli a distanza. Parecchia distanza. Anzi, che stiano alla larga da me per sempre. Meglio sola che con un bugiardo.

Sono quasi giunta alla fine della sessione di allenamento. Ho ancora la leg extension da fare, la più tosta. Mi manca l’ultima serie da dodici. I muscoli delle cosce bruciano come l’inferno. Serro forte la mascella e strizzo gli occhi per lo sforzo. Quando li riapro, giro lo sguardo verso destra. Un gesto casuale, almeno all’apparenza.

La porta dello spogliatoio maschile, che dà direttamente sulla palestra. È aperta per metà e, per qualche secondo, lui riempie lo spazio con il suo corpo. È appena uscito dalla doccia ed è nudo. Anche da qui posso vedere l’acqua che gli accarezza i muscoli tonici e duri, tipici di chi sottopone il proprio fisico a un allenamento costante.

Deglutisco silenziosamente. Da dove arriva questa voglia improvvisa di passare la lingua su quella pelle tesa? Questo desiderio di fermare quelle gocce d’acqua che, lentamente, scivolano a terra indisturbate? Il profilo perfetto dei suoi glutei polarizza tutta la mia attenzione. Il respiro si fa corto e superficiale, anzi, credo proprio di aver messo i miei polmoni in standby. Avverto una leggera e improvvisa contrazione in mezzo alle cosce che mi sorprende e mi fa sussultare.

Lui gira lo sguardo verso di me, quasi mi avesse sentito, ma anziché coprirsi o chiudere la porta, indugia in quella posizione, frizionandosi i capelli con l’asciugamano, con tutta la calma del mondo, incurante del fatto che lo sto fissando.

Il fatto che si sia accorto di me non mi fa desistere dal continuare a guardarlo. Le pulsazioni tra le gambe aumentano, portando con sé una forte sensazione di eccitazione. Dovrei distogliere gli occhi, come la buona educazione e il senso del pudore mi suggeriscono, ma non riesco a non ammirare quel fisico virile che mi blocca il respiro e mi fa sentire sopraffatta.

In verità, non è tanto la sua potenza fisica a dominarmi, quanto il magnetismo nei suoi occhi. Solo per un attimo si sono agganciati ai miei, ma è bastato per percepire il potere di quello sguardo, capace di metterti a tappeto senza neppure sfiorarti. Sì, perché da uno con degli occhi così intensi e penetranti, ti faresti fare di tutto e gli faresti di tutto.

Lui mi rivolge un sorrisetto insolente e subito dopo scompare dalla mia vista, lasciandomi a fissare quello spazio di luce con un senso di delusione. Ma non dura molto, perché subito riappare, ed è ancora nudo, con l’asciugamano arrotolato sulle spalle. Ora mi offre lo spettacolo del suo didietro strepitoso, a trecentosessanta gradi: alto e tondo, come se ne vedono pochi in giro, e talmente sodo da sembrare di marmo.

Passa e ripassa più volte davanti a quella porta mezza aperta, senza fare il minimo accenno a coprirsi. Ed è una tentazione, un’irresistibile tentazione.

Allora, come un automa, mi alzo e mi avvio verso di lui. Faccio ancora in tempo a fermarmi. Penserà che sono una pervertita, una guardona. Ma è un impulso impossibile da reprimere, così naturale… Quasi come respirare.

Rimango ferma sull’uscio, mentre lo osservo, rapita. Mi dà le spalle e ora posso ammirare più da vicino quei glutei granitici e perfetti. La fantasia vola e con essa la mia voglia di vederlo mentre li contrae, spingendosi dentro il corpo di una donna. Sarebbero magnifici, quei muscoli che guizzano seguendo il movimento del piacere.

L’idea che possa essere io quella donna mi fa bagnare all’istante e la cosa mi meraviglia. Non sono mai stata una femmina calda e non ho mai trovato il sesso una pratica entusiasmante. Ero vergine quando conobbi Gianni, al primo anno di università, ma non lo rimasi per molto. Lui era uno dai grandi appetiti - lo è sempre stato - cosa che spesso trovavo fastidiosa. Io, che ero in cerca di dolcezza e tenerezze. Dovette faticare un bel po’ per convincermi, ma poi, stremata dalla sua insistenza, cedetti. Non fu un’esperienza piacevole, ma dicono che sia normale, la prima volta. Col tempo ci furono dei miglioramenti, anche se non così eclatanti da farmi appassionare alla pratica.

Fare l’amore con lui non è mai stato eccezionale, non come lo descrivono le mie amiche, per lo meno. Amplessi travolgenti, pieni di passione, senza freni, senza limiti, io non ne ho mai vissuti.

Tra me e mio marito c’è stato sempre e solo sesso di routine: classico, noioso, quasi doveroso e con un’enorme difficoltà da parte mia a raggiungere l’orgasmo. All’inizio lui se ne faceva un cruccio e cercava in tutti i modi di darmi piacere, anche dopo essere venuto. Col passar degli anni i rapporti si erano diradati e, quando facevamo l’amore, dopo, non si chiedeva nemmeno più se avessi goduto. Si girava nel letto, dandomi le spalle, e io mi mettevo a leggere, cercando di prendere sonno.

La frustrazione dell’orgasmo negato è terribile. Non ho neppure mai pensato a fare da sola. Non saprei neppure da dove iniziare, o forse, semplicemente la cosa mi imbarazza da morire. Proprio per questo, costatare che in questo momento mi sto bagnando, solo guardando un uomo, per di più sconosciuto, senza che mi abbia sfiorata con un dito, mi sconcerta.

Sono una donna difficile da scaldare. Ho bisogno di lunghi preliminari e a volte neppure bastano. Non ho mai capito che cosa scateni la mia eccitazione e mi mandi su di giri, ma ho la sensazione che quest’uomo potrebbe farmelo scoprire.

Stringo le cosce per trovare sollievo da questa dolce tensione che non mi abbandona, anzi, cresce ogni minuto di più, e sposto lo sguardo verso l’alto. I muscoli delle sue spalle si contraggono, mentre muove le braccia per frizionarsi i capelli con l’asciugamano.

È davanti a un grosso specchio a parete che lo riflette nella sua interezza, perciò, ora posso bearmi anche della parte anteriore del suo corpo. I pettorali massicci guizzano sotto il movimento frenetico delle braccia. Anche l’addome scolpito si alza e si abbassa in uno spostamento ritmico che m’ipnotizza e…

Mio Dio!

Mi porto la mano davanti alla bocca per attutire il gemito di sorpresa. Il suo… Il suo mem…

Anche lui è eccitato, non ci sono dubbi. Anche da questa distanza posso vedere come la sua erezione svetti fiera e dura come l’acciaio. E a meno che non soffra di priapismo o si stia facendo un film erotico nella testa, devo essere io la causa di tutta questa potenza. Voglio credere che sono io e la cosa mi lusinga e mi agita allo stesso tempo. È come se fossi invitata ad agire, a fare qualcosa. Ma cosa? Cosa dovrei fare? Cosa vuole che faccia?

Mi sento di nuovo la gola secca. Deglutisco e mi passo più volte la lingua sulle labbra.

I nostri occhi si incontrano nello specchio. Emana una totale sicurezza di sé, tanto da apparire arrogante e altezzoso. Ha il classico atteggiamento di quegli uomini che non hanno la necessità di tessere la ragnatela della seduzione per portarsi a letto una donna. Sono essi stessi seducenti come il peccato, e le poverine cadono ai loro piedi volontariamente e con estrema facilità. I loro occhi sono così profondi e penetranti da risucchiarti come in un vortice e farti desiderare di precipitare in un abisso di fantasie proibite.

Cedo a questo oscuro desiderio e mi avvicino, un passo dietro l’altro, con lo sguardo fisso su di lui. Sembra quasi che mi stia aspettando. Si volta, molto lentamente, mettendosi di profilo.

Mi sento in preda a un sortilegio. Una sorta di corda invisibile mi tiene legata a quest’uomo che incarna la potenza mascolina. Sono in trance, mentre attendo che il mago compia la sua magia.

Voglio toccarlo con tutta me stessa e desidero che mi tocchi a sua volta, ma non teneramente. No. Voglio, invece, che mi sbatta contro il muro e si avventi sulle mie labbra con ferocia, costringendomi a ricevere la sua lingua prepotente e dispotica. Voglio che mi strappi di dosso questi insulsi calzoncini e mi sollevi, avvolgendosi le mie gambe attorno ai fianchi, per poi scoparmi con urgenza e foga, come un animale. Voglio sentirlo entrare e uscire dal mio corpo con affondi potenti e brutali, via via sempre più rapidi, fino a farmi dimenticare il dolore e la mia severa coscienza. Voglio che mi faccia venire con un urlo di soddisfazione, così potente da far tremare i vetri di questa stanza, satura di profumo e sudore maschili, cosicché, chiunque mi senta, capisca che finalmente sono appagata se non nello spirito almeno nel corpo.

Lui continua a guardarmi. I suoi occhi mi rendono inquieta e smaniosa, mi comunicano mille emozioni, quelle che voglio leggere e per le quali non servono le parole.

Poi, quando penso che nulla accadrà, perché dovrò essere io, come sempre, a decidere della mia vita e di quella degli altri, mi poggia una mano sulla spalla e, con una pressione delicata ma decisa, mi fa inginocchiare dinanzi a sé.

Con una docilità che mi è sconosciuta, obbedisco, e lentamente piego le ginocchia fino a poggiarle sul pavimento freddo, senza mai distogliere gli occhi.

Mi ritrovo con la faccia all’altezza del suo inguine. Il suo membro ha un guizzo di eccitazione e io mi lecco le labbra… Di nuovo.

Ho fatto sesso orale con Gianni solo quando me lo chiedeva esplicitamente, e ho sempre avvertito un senso di disgusto, soprattutto quando mi chiedeva d’ingoiare.

Eppure, in questo momento, muoio dalla voglia di prenderlo in bocca e succhiarlo a questo sconosciuto, fino a farmi scorrere giù per la gola il liquido denso che ne uscirà.

Alzo lo sguardo verso il suo viso, in attesa.

Mi sta fissando con gli occhi socchiusi e le labbra serrate, in un’espressione seria e indecifrabile. Che sia eccitato è evidente, non mi posso sbagliare, anche il suo respiro è leggermente ansimante, però la sua faccia è severa. Sembra arrabbiato.

Presa da un momento di vergogna, abbasso lo sguardo e poso le mani in grembo, come farebbe una bambina che sa di aver combinato qualche guaio ed è in attesa della punizione.

Vedo, con la coda dell’occhio, la sua mano destra sollevarsi e avvolgere l’asta eretta in una stretta forte e decisa. Con calma inizia a farla scivolare su e giù, in lunghe e sensuali carezze, mentre l’altra mano rimane abbandonata lungo il fianco.

Vorrei alzare gli occhi per ammirarlo mentre si tocca, ma l’imbarazzo mi rende confusa. Non so cosa fare, come comportarmi. Alla fine, sopraffatta dal desiderio, riporto lo sguardo verso quei movimenti erotici, come ipnotizzata, e continuo a fissarlo, passandomi ogni tanto la lingua sulle labbra.

Vederlo toccarsi mi fa avvertire un vuoto doloroso nel ventre. Sento un bisogno lacerante di essere riempita. Un calore incontrollabile si sta diffondendo dentro di me, inducendomi ad abbandonare anche l’ultimo barlume di ragionevolezza.

Risalgo il suo corpo con lo sguardo. I muscoli sulla pancia sono tesi. Continua a fissarmi con i suoi impenetrabili occhi di ghiaccio, ma la sua bocca ora è socchiusa. Lo scruto con maggior attenzione. Forse sta per dirmi qualcosa…

No, nulla è cambiato, il suo atteggiamento è sempre impassibile, niente a che vedere con il terremoto di emozioni che si stanno scatenando dentro di me.

Mi guarda, continuando a toccarsi. Sono totalmente affascinata da quest’uomo eccitato che incombe su di me.

Finalmente è lui a interrompere questa situazione di stallo. Con la mano libera, mi afferra il mento e lo stringe forte, obbligandomi a dischiudere le labbra. Pur sentendo dolore, non mi ribello. Mi sento come un vaso di creta tra le sue mani, può fare di me quello che vuole e trasformarmi come meglio crede. Non gli dirò di no.

Poi fa scivolare il palmo dietro la nuca e mi afferra la testa, tenendola ferma, mentre con l’altra mano spinge il sesso nella mia bocca.

La penetrazione è rude, brutale. Sento la sua carne impaziente e infuocata al pari della mia, che lo reclama, ormai affamata di lui. Lo tira di nuovo fuori e mi fa scorrere la punta umida sul labbro inferiore, come una lenta carezza. La mia lingua scatta fuori per leccare la goccia densa che ne sfugge. Cerco di prenderglielo in bocca, ma, con la mano stretta sulla testa, m’immobilizza.

Sono confusa… Credevo che lo volesse anche lui.

L’umiliazione mi fa contrarre lo stomaco e il respiro si blocca, ma quando lui arretra per poi spingersi in avanti, infilandosi con forza tra le labbra, i miei polmoni ritornano alla vita e con essi tutto il corpo.

Vorrei afferrare quei glutei marmorei per avvicinarlo ancora di più, ma ho la sensazione che non approverebbe. So che lui vuole il comando e io devo solo obbedire.

Chiudo gli occhi e comincio a roteare la lingua attorno alla sua punta bollente, poi prendo a succhiarlo con forza. Provo a scendere più giù con la bocca, ma ha ancora il pugno avvolto attorno alla base. Guardo verso di lui per capire che cosa vuole che faccia. Il suo respiro mi sembra regolare, ma lo sguardo è torbido e incandescente e la mascella contratta, come se stesse facendo fatica a trattenersi.

Lentamente toglie la mano, sostituendola con la mia. Ora sono io la padrona. È letteralmente nelle mie mani… E nella mia bocca.

Lo afferro con decisione e me lo porto quasi del tutto fuori, fino a fargli scorrere la lingua sulla punta e poi comincio a leccarlo in tutta la sua lunghezza. Sono completamente presa da quello che sto facendo, ma non distolgo mai lo sguardo dal suo viso. Lui, d’altra parte, non è da meno. Nonostante i rapidi sospiri strozzati, che ora gli sfuggono tra i denti, mi guarda, rifiutandosi di chiudere gli occhi e lasciarsi andare ad assaporare il piacere che sicuramente gli sto dando.

Si aggrappa ai miei capelli, tirandoli. Arretra e affonda di nuovo, digrignando i denti. Avevo appena pensato di averlo in mio potere, ma non è così. Lui sa cosa vuole e come lo vuole. Ha lui il controllo totale. Di nuovo si spinge in avanti, tenendomi ferma con le mani, e accarezzandomi i capelli allo stesso tempo.

Dopo qualche altro affondo deciso, lo sento gonfiarsi e pulsare. Impaziente, sposta una mano dalla mia testa verso la base del membro ed esce un po’, fino ad avere una presa sicura. Sfrega con urgenza avanti e indietro e lo assecondo. Con la mia mano copro la sua, mentre mi schizza dritto in gola e ingoio… Mentre continuo a guardarlo. 

Sono curiosa di vedere se l’appagamento ha finalmente addolcito la sua espressione cupa. I suoi occhi di ghiaccio, ora, brillano maliziosi. Mi osserva con un sorrisetto compiaciuto e soddisfatto, mentre esce dalla mia bocca, poi, con il pollice prende alcune gocce del suo seme che stanno colando all’angolo e me lo riporta sulle labbra, strofinandolo con forza, come se volesse marchiare quella parte di me.

Non dice una parola. Nulla traspare dal suo viso, mentre si volta per allontanarsi.

Mi rilasso e rimango seduta sui talloni, a osservare i suoi movimenti lenti e precisi, mentre si riveste. Solo quando sento sbattere la porta, allora mi risollevo da terra e prendo coscienza di ciò che è accaduto.

Ho appena fatto sesso orale con uno sconosciuto nello spogliatoio maschile di una palestra, col rischio che qualcuno potesse sorprenderci.

Mi volto verso lo specchio e mi osservo attentamente. I miei capelli sono scompigliati come se mi fossi appena alzata dal letto, le labbra sono gonfie e arrossate, gli occhi lucidi e vogliosi. Faccio fatica a riconoscermi e, tuttavia, non mi sono mai sentita così viva.

Dopo un primo momento di smarrimento, vedo allargarsi sul mio viso un ghigno di soddisfazione. Continuo a scrutare il volto, gli occhi, in cerca di qualche indizio di pazzia improvvisa, ma non ne ravvedo. Dovrei vergognarmi di quello che ho appena fatto e invece, pur scavando dentro la mia coscienza, non riesco a trovare l’ombra del rimorso.

Acquista ora

  • Amazon
bottom of page