La sottoveste
«Dannata afa…» Laura accese l’abat-jour e saltò giù dal letto. Il marmo freddo sotto i piedi nudi le offrì un sollievo fugace, subito inghiottito dall'aria calda e soffocante che impregnava la stanza. «È davvero insopportabile,» mormorò esasperata, mentre si passava una mano sulla nuca madida. «Non è possibile andare avanti così.» Era una settimana che non dormiva, prigioniera di quell’afa opprimente che sembrava non voler concedere un attimo di tregua. Ogni notte si svegliava tre o quattro volte, in un lago di sudore, e riaddormentarsi era un'impresa. La mattina, quando finalmente si svegliava, si sentiva sfinita. Il solo pensiero delle pratiche che l'attendevano in ufficio le dava un senso di nausea. Con un gesto nervoso si pizzicò la sottoveste umida e appiccicosa, cercando di staccarla dal corpo e far passare almeno un filo d'aria. Con quel caldo opprimente avrebbe dovuto dormire completamente nuda, altro che coprirsi, ma quel capo di lingerie le piaceva troppo per lasciarlo nel cassetto. In alcuni punti era piuttosto consumata, per questo non la indossava più, ma come camicia da notte andava benissimo, tanto nessuno l’avrebbe vista mai, dal momento che dormiva sempre sola. Le dispiaceva che lo spacco laterale si fosse allungato per uno strappo, forse provocato dai suoi movimenti nel letto, ma si trattava di un danno che la rendeva persino più comoda. Il colore, un delicato grigio perla, era rimasto intatto, lucido come sempre, mentre la fascia di pizzo sul bordo, purtroppo, mostrava segni di usura, con qualche filo che si era allentato. Sorrise, ricordando le circostanze in cui l'aveva indossata. Allora si sentiva ancora bella e desiderata, e quell’indumento così sensuale, era stato spettatore di serate indimenticabili, fatte di sguardi complici e di mani che la esploravano con bramosia, di notti in cui ogni centimetro del suo corpo era stato venerato con passione e il confine tra piacere e desiderio si erano confusi fino a perdersi. I gemiti sussurrati contro la pelle calda, le risate soffocate tra i cuscini, il sudore che si mescolava al respiro affannato… Tutto ciò sembrava appartenere a un'altra vita, a un'altra versione di sé. Ora, ogni volta che si specchiava, vedeva le piccole rughe che stavano iniziando a formarsi attorno agli occhi e agli angoli della bocca, testimoni silenziose del tempo che passava. Notava come i lineamenti del viso, ma anche quelli del corpo, stessero iniziando a cedere, perdendo quella bellezza e quella compattezza che una volta l’avevano fatta sentire sexy e sicura di sé. A cinquantaquattro anni, e con un divorzio alle spalle, sentiva di poter vivere solo di ricordi, ormai. Tuttavia, anche questi stavano lentamente sbiadendo, e l’eco di un passato eccitante si mescolava sempre di più con la monotonia della quotidianità. Le giornate si susseguivano tutte simili: lavoro, faccende domestiche, qualche telefonata con le amiche. Eppure, nel profondo, desiderava qualcosa di più, un segno, una spinta per ricominciare, per riscoprire il fuoco che un tempo le ardeva dentro. Ma la paura del cambiamento la bloccava, rendendola prigioniera della sua stessa routine. Con un gesto rapido si scostò i capelli umidi dalla fronte. L’afa le penetrava nelle ossa, rendendola irrequieta, ma quella notte c’era qualcosa in più, una tensione profonda, una smania che le bruciava sotto la pelle e che non riusciva a controllare. E di chi era la colpa? Del suo vicino di pianerottolo, ovvio. Proprio quella mattina, mentre si dirigeva verso l'ascensore, gli era andata a finire addosso, letteralmente. Intenta a infilare le chiavi di casa nella borsa, si era ritrovata tutt’a un tratto contro il suo petto tonico e muscoloso. Un impatto improvviso, che le aveva tolto il respiro per un istante. Aveva alzato lo sguardo. Gli occhi grigi, le labbra piene e sensuali, le fossette che si erano formate ai lati della bocca, la mascella ricoperta da una leggera ombra di barba… non riusciva a smettere di fissarlo. Maledizione, era come in trance, mentre lui se ne rimaneva lì, impassibile, a guardarla con un sorrisetto malizioso stampato in faccia, come se niente fosse. Poi, per fortuna, il rumore dell'ascensore che arrivava al piano l'aveva riportata alla realtà. Quindi, senza dire una parola, gli aveva girato le spalle e aveva preso le scale. Meglio farsi cinque piani a piedi, piuttosto che stare chiusa in ascensore da sola con lui, anche se per pochi secondi. Dopo quanto accaduto sul suo balcone, non voleva avere più niente a che fare con quello stronzo; anzi, avrebbe preferito non incrociarlo mai più sulla sua strada. Sì, perché, ogni volta che lo vedeva si sentiva stringere lo stomaco in una morsa d'acciaio, per non parlare di quel fastidioso languore al basso ventre che… No, doveva smettere di pensarci. Basta, maledizione! Si diresse in cucina, aprì il frigo e prese un cubetto di ghiaccio, poggiandoselo sul collo. Il freddo improvviso la fece sussultare, strappandole un respiro profondo, mentre la pelle si increspava sotto quel tocco gelido. Con un gesto pigro e ripetitivo, iniziò a passarselo sulle braccia e sul petto. Sottili rivoli d’acqua le scivolarono lentamente tra i seni, lasciando una scia fresca e piacevole sulla pelle accaldata. Emise un sospiro lungo e profondo. Dio, quanto le sarebbe piaciuto tuffarsi in una piscina con l'acqua ghiacciata. Prese altri cubetti, li mise in una ciotola e portò tutto con sé in camera. Passando sotto il condizionatore gli rivolse un'occhiataccia torva. Quel maledetto si era rotto di nuovo. Era già la terza volta che chiamava qualcuno per ripararlo: una volta per i filtri sporchi, un'altra per il gas, adesso non si accendeva. Doveva decidersi a comprarne uno nuovo, altrimenti sarebbe morta in quell'estate rovente. Si avvicinò alla finestra spalancata nella speranza di cogliere anche solo un leggero soffio d’aria fresca, ma tutto lì fuori era immobile, soffocante, come se ci fosse una coperta di piombo adagiata sulla città. Solo il frinire sommesso delle cicale e il richiamo lontano dei grilli osavano infrangere il silenzio. Il telefono vibrò sul comodino. Si voltò, esitante, fissandolo per un attimo. Chi poteva chiamarla alle tre di notte? Qualcuno che aveva sbagliato numero? Oppure suo figlio, da New York, che a volte si confondeva con il fuso orario? Un lieve senso di inquietudine le si insinuò dentro, mentre lo raggiungeva. Lo afferrò con un gesto rapido e, non appena guardò lo schermo, sentì il cuore accelerare e batterle contro il petto come un tamburo impazzito. Il numero che compariva non apparteneva a qualcuno che si era sbagliato né tanto meno a suo figlio. No, quel numero apparteneva alla persona che, in un modo o nell'altro, riusciva sempre a sconvolgerle la mente e il corpo. Lui, sempre lui: Fabio, il suo vicino di pianerottolo. Un breve, sibillino messaggio lampeggiava davanti ai suoi occhi. *Vieni in giardino. Un ordine che la fece rabbrividire. Un'ondata di calore le percorse il corpo, culminando in quel languore familiare e inconfondibile, che andò a concentrarsi tra le sue gambe. Si morse leggermente il labbro, come a voler soffocare quell'impulso primordiale che minacciava di travolgerla, ma era inutile: mente e corpo erano già oltre. Quante volte aveva immaginato quel momento, quello in cui lui l’avrebbe reclamata. Ogni dettaglio era così vivido nella sua mente, così potente da farla tremare. Aveva sognato di incontrarlo da sola, guardarlo negli occhi, di vedere il desiderio riflesso nel suo sguardo, di sentirlo avvicinarsi, le mani che la accarezzavano con passione, i baci, le bocche affamate, le lingue che si intrecciavano… Tutto era iniziato per caso: sguardi rapidi, fugaci, scambiati nell’atrio del palazzo, sorrisi appena accennati in ascensore o davanti al portone, notti in cui il pensiero di lui era diventato ossessivo, portandola a fantasticare su qualcosa che superasse quella sottile barriera di formalità e divenisse realtà, tangibile, ineluttabile. Poi c'era stato lo scambio dei numeri di telefono. Una pura casualità anche quella. Lei, disperata, aveva bisogno di qualcuno che le riparasse il condizionatore. E quel giorno, mentre supplicava il portiere di mandarle qualcuno al più presto, Fabio era comparso all'improvviso e si era offerto di aiutarla. «Non sono né un idraulico né un elettricista,» aveva detto, con un sorriso che le aveva accelerato il battito, «ma me la cavo abbastanza bene con le piccole riparazioni. Se il problema non è grave…» Laura l'aveva guardato, studiandolo per un attimo. I suoi occhi grigi avevano qualcosa di ipnotico, un'intensità che la faceva sentire esposta, quasi nuda, come se lui potesse leggere i suoi pensieri più intimi, carpire i desideri nascosti che non avrebbe mai confessato a nessuno. Quel magnetismo le metteva i nervi a fior di pelle, rendendola vulnerabile e allo stesso tempo incredibilmente viva. Aveva sorriso anche lei, cercando di mascherare l'inquietudine che sentiva crescere dentro di sé. C'era qualcosa tra loro, una sorta di tensione che non riusciva a ignorare. «Non lo so, non si accende più,» aveva spiegato, la voce un po' troppo veloce. «E con questo caldo, la camera da letto è un inferno.» Un'estate così calda non s'era mai vista. I notiziari lo ripetevano in continuazione, aumentando la frustrazione di tutti. Ogni giorno sembrava che il termometro volesse superare il limite, come se la città fosse stata presa in un abbraccio mortale di afa. Lui aveva annuito. «Capisco…» Si era grattato la testa, lo sguardo rivolto a terra come se stesse cercando le parole giuste. «Sto andando al lavoro, ma stasera, se vuole, posso passare a dare un’occhiata. Mi chiami nel pomeriggio, così ci mettiamo d'accordo.» Mentre parlava, aveva scarabocchiato il suo numero su un pezzo di carta che il portiere gli aveva porto e glielo aveva passato con un gesto disinvolto. Laura lo aveva preso, infilando il foglietto nella tasca della giacca senza nemmeno guardarlo. Il cuore continuava a battere forte, come se quel piccolo pezzo di carta avesse il potere di cambiare qualcosa di profondo dentro di lei. «Va bene, grazie,» aveva risposto con un filo di voce, cercando di mantenere la calma, mentre un turbine di emozioni le attraversava il corpo. Lo aveva seguito con lo sguardo finché non era uscito dal portone. L'andamento deciso e sicuro dei suoi passi, i pantaloni stretti che mettevano in risalto la figura slanciata e muscolosa, la camicia blu scuro che aderiva perfettamente alle spalle larghe e al torace ben definito… tutto contribuiva a risvegliare in lei sensazioni rimaste sopite da troppo tempo. Per ore, il pensiero di chiamarlo le aveva martellato in testa. Si era trovata più volte a rigirare quel foglietto tra le mani, come se il tocco della carta potesse darle il coraggio che ancora le mancava, ma la paura l'aveva sempre fermata. La paura di non sapersi controllare, di non saper mascherare il desiderio non appena lui fosse entrato nel suo appartamento e fossero rimasti soli. Alla fine, quando lo aveva fatto, non era stato per fissare un appuntamento. Lo aveva chiamato solo per dirgli che aveva risolto. «È venuto mio fratello a trovarmi e ha sistemato tutto,» aveva detto, la voce che le tremava leggermente. Dall'altra parte della linea, lui aveva risposto in modo calmo, ma Laura aveva percepito una leggera sfumatura di delusione. «Ah… perfetto. Ma se dovesse aver ancora bisogno di aiuto, non esiti a chiamarmi.» Dopo aver chiuso, era rimasta a fissare il telefono, domandandosi cosa sarebbe successo se avesse scelto diversamente. Il pensiero le era rimasto addosso per giorni, come un sottile rimpianto difficile da scacciare, divenendo sempre più insistente; una presenza costante nella sua mente, tanto da insinuarsi nelle sue fantasie più intime, togliendole il sonno. Una notte si era svegliata di soprassalto, il cuore che batteva furiosamente nel petto e un desiderio intenso di fare l'amore con lui. Il respiro era affannoso, il corpo ancora intrappolato nel sogno che l’aveva scossa. Ogni dettaglio le sembrava vivido, reale, come se lui fosse davvero lì con lei, a saziare la sua fame di piacere. Si era girata e rigirata nel letto, le lenzuola che si attaccavano alla pelle sudata, rendendola ancor più consapevole della voglia spasmodica che la consumava. La mente tornava incessantemente a quel sogno, al sorriso seducente di lui e alle sue mani che la esploravano. Maledizione, non voleva che lui restasse confinato solo nei suoi sogni. Desiderava che tutto diventasse reale: la bocca famelica e impaziente, le mani forti e sicure che la trattenevano esplorando ogni angolo del suo corpo, la lingua calda ed esperta che scivolava sulla sua pelle disegnando un percorso di fuoco capace di bruciare ogni resistenza… Sì, voleva farsi travolgere dalla passione, voleva che lui le facesse perdere il controllo sì da abbandonarsi al piacere senza freni. «Basta! È una tortura,» aveva detto sottovoce. «Devi smetterla di pensare a lui.» Più facile a dirsi che a farsi, dal momento che almeno una volta al giorno, se lo ritrovava sempre davanti: mentre rientrava dall'ufficio, quando andava a buttare l'immondizia o a prendere la posta. E ogni volta, c'erano sempre quei sorrisi. Quel sorriso maledetto, appena accennato, che le faceva ribollire il sangue e le annebbiava la mente. Anche quando innaffiava i fiori, sembrava fatto apposta, lui era sempre lì, sul balcone, a fumarsi la sigaretta, o a parlare al cellulare. Talvolta la salutava con un cenno della mano, un gesto semplice, ma per Laura era come un colpo al cuore. Quello sguardo, quel sorriso, avevano il potere di far sciogliere ogni sua difesa. Si chiedeva se lui fosse consapevole dell’effetto che aveva su di lei, della tempesta di emozioni che scatenava ogni volta. Aveva chiuso gli occhi, immaginando il calore del corpo di lui accanto al suo, e il pensiero di un incontro reale l’aveva fatta tremare di anticipazione. «Basta, accidenti! Bastaaa!» Era balzata a sedere sul letto, il cuore ancora in subbuglio e la mente offuscata dal desiderio. Aveva controllato l'ora sul cellulare: le 2:40; la notte era ancora lunga. Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa che l’aiutasse a scacciare la tensione che le pulsava sotto la pelle. Tanto per cominciare era andata in cucina a bere un bicchiere d'acqua, poi, mentre tornava a letto, si era fermata dinanzi alla finestra che dava sul balcone, a respirare un po' d’aria fresca. C'era una leggera brezza che arrivava da sud, portando con sé l'odore salmastro del mare, e si mescolava al profumo dei fiori. Aveva aspirato due o tre volte chiudendo gli occhi, poi, guidata solo dall'istinto, era uscita. Fuori, il silenzio era rotto dal fruscio delle foglie mosse dal vento e dal motore di qualche auto che transitava sulla strada laterale. La città sembrava addormentata sotto il chiarore della luna piena. Aveva sollevato le braccia, rivolgendo il viso verso il cielo, in una preghiera muta che mettesse fine al suo tormento. La vecchia sottoveste si era sollevata e l’aria frizzante le aveva carezzato la pelle ambrata delle cosce. Non era più tonica come un tempo. La cellulite cominciava a farsi vedere, piccole antipatiche ondulazioni, testimonianza di una gioventù trascorsa e di un’alimentazione disordinata. Ultimamente, poi, cedeva sempre di più a piccoli peccati di gola: patatine, popcorn, noccioline e salatini accompagnati da qualche bicchiere di vino bianco, oltre a gelati, crema di caffè, cucchiaiate di Nutella prima di andare a dormire. Tutto cibo spazzatura che sembrava lenire per un po' il vuoto che provava, ma che, oltre ad avvelenarle il fegato, andava a depositarsi sui fianchi e sulle gambe. Era soprattutto quando stava in casa, che il nervosismo la consumava. La consapevolezza che lui era proprio lì, nell'appartamento accanto, la rendeva tesa come una corda pronta a spezzarsi. E il peggio arrivava quando lo sentiva fare sesso con sua moglie. Le loro risate si mescolavano ai gemiti intensi, creando una melodia di desiderio che le perforava l’anima. La voce sommessa e sensuale di lui quando sussurrava parole di passione sembrava vibrarle nel petto, mentre i gemiti più forti di lei la spingevano a un'irrequietezza insopportabile. E i colpi, molto probabilmente sculacciate, seguiti da mugugni di godimento, si insinuavano nella sua mente come un veleno dolce. Ogni suono che filtrava attraverso il muro le ricordava ciò che non poteva avere, alimentando la fiamma di un desiderio che la stava consumando. «È dura dormire con questo caldo…» Laura aveva fatto un balzo all'indietro e si era affrettata a tirarsi giù la sottoveste. Poi si era voltata alla sua sinistra. Il suo sogno proibito era al di là della maledetta inferriata, quella tra i due appartamenti e che nessuno aveva ancora provveduto a chiudere con un pannello oscurante. A petto nudo e con un paio di bermuda calati sui fianchi, se ne stava appoggiato al parapetto, fumando la sigaretta con aria disinvolta. Il cuore di Laura aveva iniziato a battere furioso e il respiro si era fatto affannoso. La luce fioca della luna illuminava i contorni dei suoi muscoli scolpiti e potenti, la vista dei quali le aveva fatto salire un calore incontrollabile che le aveva invaso ogni cellula del corpo. Provava un desiderio così intenso che sembrava quasi una sofferenza fisica. «Non credevo ci fosse qualcuno,» aveva farfugliato, imbarazzata. Lui aveva lasciato uscire una nuvola di fumo, il suo sguardo che si posava su di lei con un'intensità che le aveva fatto tremare le ginocchia. «La vita è piena di sorprese.» Aveva fatto un altro tiro e si era allontanato dal parapetto. «E questo caldo rende tutto più… interessante,» aveva aggiunto con una leggera malizia nella voce, mentre si avvicinava di qualche passo. Laura era stata percorsa da un brivido lungo la schiena, mentre le guance si coloravano di un rosso acceso. Fanculo, pensò, dopotutto non sono mica nuda. Se fossimo al mare avrei avuto molta più carne esposta. Certo, in quel momento non indossava il reggiseno, e sentiva i capezzoli così turgidi che lui doveva averli notati, senza dubbio. Con un gesto istintivo aveva incrociato le braccia sul petto, cercando di coprirsi e, al tempo stesso, di sembrare disinvolta. Quel movimento, però, aveva fatto sollevare la sottoveste, esponendo una porzione di pelle proprio all'altezza dell'addome, visibile attraverso la striscia di pizzo. Gli occhi di lui si erano abbassati, indugiando lì dove le sue cosce si univano, disegnando una V invitante. Una vampata di calore le aveva attraversato il basso ventre. Lui la guardava con una sicurezza tale che la faceva sentire al centro del mondo, come se niente intorno avesse più importanza. Senza pensarci troppo, aveva riabbassato le braccia. Fanculo tutto, veda quel che vuole. E all'improvviso si era sentita attraversare da un'ondata di audacia che non era riuscita a contenere. «Interessante come questa sottoveste che indosso?» Aveva cercato di mascherare la propria vulnerabilità dietro un sorriso provocatorio. Lui l’aveva scrutata con un'espressione intrigata, un gioco di sguardi che sembrò prolungarsi all'infinito. «Sì, potremmo dire che è piuttosto… rivelatrice.» Laura si era morsa il labbro, sentendo il cuore accelerare sempre di più. Ogni battito sembrava scandire l'avvicinarsi di un confine che fino a quel momento aveva sempre cercato di non oltrepassare. Ma quella notte, con il calore opprimente, l'odore del mare che le riempiva i polmoni e la presenza di lui, così vicino, quel confine sembrava sempre più fragile, pronto a cedere. L'attrazione tra loro era palpabile, come una corrente elettrica invisibile che scorreva nell'aria, carica di desiderio e di promesse non dette. Aveva sempre disprezzato l’idea di essere "l'altra", di cedere a una tentazione così facile e crudele di cui lei stessa era stata vittima, – la causa del suo divorzio era stata proprio il tradimento di suo marito – ma in quel momento ogni pensiero razionale si stava sgretolando. Da una parte c'era la fame quasi animalesca di sentirselo addosso, esplorare ogni angolo del suo corpo e lasciarsi andare a ciò che fino a quel momento aveva solo sognato; dall’altra, c'era il senso di colpa, la consapevolezza di ciò che avrebbe voluto fare, di quello che sarebbe diventata. È sbagliato, si era ripetuta più volte, cercando di soffocare il tumulto interiore. Non posso assecondare questa pazzia. Non devo, dannazione! Eppure, ogni fibra del suo essere la spingeva verso di lui, come una calamita troppo potente da controllare. Ma dopotutto sarebbe stata solo un'avventura, una brevissima, insignificante avventura. Nessuno sarebbe venuto a saperlo e nessuno avrebbe sofferto. Un unico incontro, uno solo. Giusto per levarsi di dosso quella voglia maledetta che non le dava pace. «Fa davvero caldo,» aveva detto con apparente noncuranza, poi, con un gesto lento e sensuale, mentre il cuore le tamburellava furiosamente contro il petto, si era sollevata i capelli dalle spalle, consapevole che la sottoveste si sarebbe alzata ancora di più. Fabio aveva spento la sigaretta in un vaso e si era avvicinato di più all’inferriata. Anche lei aveva fatto qualche passo nella sua direzione, abbastanza vicino da poter sentire il profumo pungente del suo dopobarba. «Dovresti rientrare…» aveva sussurrato lui, con un tono che suggeriva tutt’altro, rispetto a quello che stava dicendo. La sua voce era bassa, profonda, e risuonava nell’animo di Laura come una tentazione. Lo sguardo di lui si era abbassato per un istante, soffermandosi sulle sue labbra, prima di risalire per incontrare i suoi occhi. «Penso che resterò, invece,» aveva risposto Laura, con fermezza. Basta, non ce la faceva più a vivere solo di sogni. Che Dio mi perdoni… Si era avvicinata all'inferriata e si era sfilata la sottoveste dalla testa. Gli occhi di lui l’avevano divorata, indugiando su ogni dettaglio del suo corpo con una lentezza esasperante, facendola tremare. Poi, senza dire nulla, aveva annullato la distanza tra loro. Laura aveva sentito il suo respiro caldo sfiorarle la pelle e tutto il corpo aveva risposto protendendosi in avanti. Anche se avesse voluto fermarsi, il desiderio che provava era ormai troppo intenso, del tutto impossibile da gestire. Lui aveva alzato una mano sfiorandole il viso con una delicatezza inaspettata, il pollice che tracciava una linea lungo la mascella, provocandole un brivido che la percorse fino alle viscere. Poi le dita si erano mosse lentamente verso il basso, sfiorando i capezzoli al di sopra della seta, facendola rabbrividire. Via via il tocco si era fatto più audace, scendendo ancora più giù, sulla coscia, per poi risalire sotto il bordo della sottoveste. «Sei sicura di volerlo?» La voce di lui era bassa, roca, quasi un sussurro. La sua mano, vicinissima a sfiorarla lì dove il desiderio pulsava, risvegliando in lei istinti sopiti. «No…» aveva mormorato, incapace di credere a ciò che stava facendo. Poi, aveva sollevato lo sguardo e lo aveva guardato dritto negli occhi. «Ma lo voglio lo stesso.» Non ci fu bisogno di altre parole. Le dita di lui le erano scivolate dentro con un'urgenza improvvisa, facendola trasalire, e aveva iniziato a muoverle con un ritmo deciso, quasi feroce. Un gemito le era sfuggito dalle labbra, mentre si aggrappava all’inferriata con entrambe le mani, lottando per non cedere all’intensità travolgente di quel piacere che la stava consumando come un’onda violenta. Aveva abbandonato la testa all'indietro, divaricando le gambe per permettergli un accesso più profondo. Ogni movimento di quelle dita esperte sembrava accendere scintille lungo tutto il suo corpo, amplificando il desiderio che cresceva sempre di più. Il respiro si era fatto più rapido, disordinato, mentre il piacere la invadeva senza tregua, trascinandola sempre più verso il punto di non ritorno. Ogni tocco sembrava vibrare in profondità, risvegliando ogni fibra del suo essere. Avrebbe voluto allargare le gambe ancora di più, sentirlo ancora più in fondo. Avrebbe voluto che non ci fosse quella maledetta inferriata tra loro due, così da poter accogliere ben più di quelle dita. Voleva che la prendesse con la forza e l’irruenza di un amante appassionato, e che la riempisse della sua potenza mascolina, spingendola oltre ogni limite. Si era morsa forte il labbro per non gemere, ma un mugugno profondo le era sfuggito lo stesso, un suono che sembrava evocare tutto il desiderio e la frustrazione accumulati. Lui aveva sorriso. Aveva cambiato ritmo. Le sue dita, ora, la penetravano in modo lento e ipnotico, accendendo in lei una dolce agonia. Dentro… fuori… dentro… fuori… E intanto con lo sguardo le faceva segno di tacere. Un'ondata di calore le era salita lentamente, come una corrente elettrica che partiva dal ventre e si diffondeva in ogni cellula. Era l’eccitazione che la stava spingendo sempre più vicino all’estasi dei sensi, cancellando ogni pensiero. Il mondo intorno era scomparso. Erano rimasti solo il suo respiro, le dita di Fabio che affondavano nella carne, e quel piacere travolgente che la stava per sommergere. E poi, all’improvviso, una voce giovane e invitante, proveniente dall'interno dell’appartamento di lui, aveva spezzato l'incantesimo. «Fabio, tesoro, che fai? Vieni a dormire.» Lui aveva immediatamente arrestato il movimento delle dita. Il viso teso rivelava un mix di desiderio e frustrazione, mentre il momento magico si dissolveva nell’aria. Anche Laura si era immobilizzata, mentre un freddo improvviso le percorreva la schiena. La realtà si era insinuata tra di loro come un’ombra, ricordandole brutalmente dove si trovava, e con chi: Fabio era un uomo sposato e sua moglie lo stava reclamando nel loro letto. «Sto fumando, cucciola. Adesso arrivo.» Le labbra di lui si erano chiuse in una linea sottile. «Dai, vieni. Ho voglia di te…» aveva piagnucolato l'altra. Lui aveva strizzato gli occhi, lasciandosi sfuggire un ringhio silenzioso, mentre colpiva piano l'inferriata, quindi aveva ritratto la mano ancora immersa nella calda fessura di Laura. Lo aveva fatto con un movimento veloce, nervoso, quasi senza rispetto. «Sto arrivando, amore.» Per Laura era stato peggio che ricevere una secchiata d’acqua gelata. Si era sbrigata a raccogliere la sottoveste e si era allontanata, rientrando dentro. Altro che piacere al massimo, al massimo ora c'era solo una profonda frustrazione. La magia del momento era svanita e la sensazione di essere appena stata ridotta a un’ombra, un qualcosa di insignificante, le bruciava dentro. «Stupida! Stupida! Stupida!» aveva ripetuto, mentre si lasciava cadere sul letto. Poi, in preda all’amarezza, aveva colpito il materasso con i pugni. «Cosa diavolo credevi di fare, eh? Stupida illusa.» Ben presto, il ricordo di quelle dita esperte, dell’urgente desiderio che l’aveva sopraffatta, si erano mescolati con la dura realtà e si era sentita vuota, completamente. Le lacrime le avevano riempito gli occhi, mentre un misto di impotenza e rabbia la pervadeva. Aveva colpito il materasso ancora una volta. «Lui è sposato, maledizione! Sposato!» E quella verità l’aveva schiacciata come un macigno. Si era alzata e aveva preso a camminare nervosamente per la stanza. «Devo smettere di pensare a lui, dannazione!» E intanto nell'appartamento accanto erano iniziati i gemiti, i sospiri, i sussurri, i rumori. Fabio stava facendo l'amore con sua moglie. Ogni suono la colpiva come una frustata, evocando immagini di piacere che non poteva vivere, non con lui, per lo meno. Nei giorni successivi lo aveva evitato come la peste. Si vergognava profondamente, dentro di sé sentiva ancora cocente l'umiliazione di essere stata abbandonata nel momento più vulnerabile, preferita a un'altra donna, più giovane e più bella. No, non voleva vederlo mai più. Una decisione irremovibile. E così era stato fino a quella mattina, appunto, quando gli era andata a sbattere addosso. E ora quel messaggio sullo schermo del telefono era la scintilla che accendeva di nuovo la miccia. Lo rilesse. *Vieni in giardino. La tentazione in tre parole. Un invito e una promessa insieme. Le mani le tremavano leggermente mentre le osservava, sapendo che, qualunque fosse la sua risposta, nulla sarebbe stato più come prima. Chiuse il pugno attorno ai cubetti di ghiaccio ormai sciolti, lasciando che l'acqua le scivolasse tra le dita. Il respiro divenne più profondo, le labbra leggermente socchiuse, mentre cercava disperatamente di calmare il fuoco che le bruciava dentro, ma non c’era ghiaccio che potesse spegnerlo, lo sapeva bene. Non quella notte. Non con lui ad attenderla. Fanculo se la ferita dell'umiliazione fosse ancora aperta. Fanculo se lui fosse sposato. Fanculo se fosse così giovane da poter essere suo figlio. Fanculo la coscienza e tutto quello che la logica avrebbe voluto imporle. In quel momento desiderava solo abbandonarsi al richiamo di quel desiderio proibito, e lasciare che ogni pensiero, ogni giudizio, scivolasse via, dissolvendosi come quei cubetti. Fece un altro respiro, poi, senza più esitazioni, digitò: *Mi metto qualcosa addosso e scendo. La risposta non tardò ad arrivare. Breve, tagliente, un ordine sottile che la fece rabbrividire. *No. Vieni solo con la sottoveste. Le parole la colpirono come una scossa elettrica. Rimase immobile per un attimo, lo sguardo fisso sullo schermo illuminato. Il cuore le martellava nel petto come un tamburo, mentre lottava tra il desiderio di essere libera e la moralità. Cosa sto facendo? Cosa voglio davvero? La risposta esplose dentro di lei come un fuoco d’artificio: voleva sentirsi viva, desiderata, ecco cosa voleva, completamente abbandonata a un momento di passione. Si morse il labbro, sentendo il calore diffondersi nel corpo. Incontrare Fabio non era più solo una fantasia, qualcosa che si consumava in segreto tra le mura della sua mente. Ora era reale, tangibile. E l’idea di abbandonarsi a quell’istinto la fece tremare. Le dita cominciarono a muoversi sullo schermo prima che la mente potesse opporsi. *Arrivo. Ma non lo inviò. Alzò lo sguardo verso lo specchio per un attimo. I capelli disordinati, il viso acceso di desiderio, i seni che si muovevano sotto la seta seguendo il respiro veloce, i capezzoli turgidi che spingevano contro la stoffa desiderosi di essere presi in bocca… Non c’erano scuse, non c’erano dubbi, ma solo quel desiderio bruciante che la spinse di nuovo verso la finestra. Osservò la strada vuota, poi il giardino immerso nell'oscurità. Lui era lì. Non riusciva a vederlo, ma la debole luce della sigaretta accesa tradiva la sua presenza. Un piccolo puntino rosso che pulsava nel buio, come un faro che la chiamava a sé. Il respiro si fece più pesante, ogni pensiero razionale ormai abbandonato. Non c'era ritorno, lo sapeva. Appoggiò la fronte contro il vetro freddo, lasciando che il respiro si facesse più calmo, ma ogni nervo del corpo era teso, in attesa. Là fuori, nella quiete della notte, lui l'aspettava. La tentazione fatta carne, il peccato che non riusciva a evitare, che non voleva evitare. Raggiunse l'ingresso dell'appartamento, calzò un paio di sneakers e, senza pensarci oltre, girò la maniglia della porta. L'aria calda la investì, ma non era solo l'afa a farle salire il calore alle guance. Rimase ferma per qualche secondo, incerta se prendere l'ascensore o scendere a piedi. Si guardò intorno, valutando quale opzione avrebbe ridotto il rischio di essere sorpresa in sottoveste da qualche altro condomino. L'ascensore era più rapido e più sicuro. Con un po' di fortuna, a quell'ora non avrebbe incontrato nessuno. La mente era tutta proiettata verso di lui, l'unico pensiero che la guidava, un magnetismo incontrollabile. Quando finalmente aprì il portone, l’aria umida e densa della notte la colpì, facendola sussultare leggermente. L'afa era opprimente. Si asciugò istintivamente i palmi sudati sulla sottoveste, come per cercare un equilibrio, un minimo di controllo prima di fare quel passo. Prese un respiro profondo e iniziò a muoversi verso il cespuglio di oleandro nel giardino. Il battito del cuore sembrava esploderle nelle orecchie, ogni passo più incerto ma inevitabile. Ora lo vedeva chiaramente. Era lì, esattamente come lo aveva immaginato. Appoggiato al muro, con la sigaretta che gli pendeva pigra tra le dita, il fumo che si dissolveva nell'aria immobile. La divisa da poliziotto risaltava sotto la luce soffusa del lampione, disegnando i contorni del suo corpo con una precisione quasi dolorosa. Il desiderio la colpì all’improvviso, come una fiamma che divampa, inarrestabile. Ogni pensiero svanì, lasciando spazio solo a quella voglia bruciante che la divorava da dentro. Strinse le labbra in un impeto di voglia selvaggia, il corpo teso per il bisogno che cresceva sempre più forte. Avrebbe voluto avvicinarsi, strappargli di dosso quella divisa a morsi, leccare ogni centimetro della sua pelle, sentirne il sapore, l’odore. Era un pensiero primitivo, travolgente, e più cercava di controllarlo, più si faceva prepotente. Aveva sempre pensato che gli uomini in divisa fossero uno di quei cliché banali, capaci di esercitare un fascino innegabile sull’immaginario femminile, ma che su di lei non avrebbero mai avuto alcun effetto. Li considerava figure stereotipate, troppo legate all’apparenza e al ruolo imposto, lontane dal tipo di autenticità che trovava attraente. Il fascino dell’autorità e del potere, così evidente per altre, su di lei scivolava via, lasciandola indifferente. Questo era ciò che aveva creduto finora, per lo meno. Era stata anche sempre convinta che mai avrebbe fatto sesso con un uomo sposato e mai avrebbe tradito. Ma ora sapeva che le donne sono tutte sante, finché non incontrano il diavolo giusto davanti al quale inginocchiarsi senza rimorsi. «Credevo che non venissi più,» disse lui, con la voce roca, appena percettibile. Laura non rispose. Era lì, ogni parola sarebbe stata superflua. Tra l'altro era così agitata che non sarebbe neppure riuscita a parlare. Lui avanzò di qualche passo, gli occhi che la scrutavano con bramosia, e con le mani iniziò a sfiorarle il collo, la clavicola, poi più giù. Quando giunse ai capezzoli, Laura chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un gemito soffocato. La bocca di lui si curvò in un sorriso malizioso. Dio, quanto aveva atteso quel momento… Lo desiderava più dell'aria, in quel momento lo voleva più di qualsiasi altra cosa. Fece per tirarsi via la sottoveste, come aveva fatto quella sera sul balcone, ma lui le afferrò i polsi. «No, voglio che la tieni.» Laura deglutì. Se c'era un inferno sulla terra era quello che lei stava vivendo in quel momento, fatto di attese, promesse, piaceri da scoprire. La mano di lui discese ancora, fino alle cosce, per poi risalire sotto la seta. Era così dannatamente lento in quei movimenti, in totale contrasto col bisogno di essere travolta da lui. «Le hai tolte per me?» domandò, divertito, le dita che scorrevano con leggerezza tra le pieghe umide del sesso. «No... dormo sempre senza.» Chiuse gli occhi, persa nel crescente desiderio. «Guardami. Voglio che mi guardi.» Obbedì, non poteva fare altro. Dipendeva da lui, da quel piacere che le stava annunciando. I loro occhi restarono avvinti, mentre lui continuava a carezzarla tra le gambe. Una tortura, piacevole ed estenuante. Poi si spostò sui glutei. Si soffermò lì, prima con carezze leggere, e via via sempre più decise. Poi ci fu la sculacciata. Improvvisa. Forte. Vibrante. Laura trattenne il respiro per qualche secondo mentre nuove sensazioni eccitanti e inaspettate la travolgevano. Lo sguardo di lui si era fatto torbido, gli occhi grigi brillavano di una fame insaziabile, un misto di desiderio e possessività che la faceva bruciare di passione. L'erezione le premeva contro il ventre, accrescendo la sua smania di sentirlo dentro. Voleva essere scopata, santo iddio, subito. Scopata con una furia che la travolgesse, come non le era mai successo prima. Voleva sentire quella connessione esplosiva che l’avrebbe spinta a perdersi completamente. Ancora una sculacciata, più forte, poi le dita raggiunsero la stretta apertura tra i glutei, in un movimento deciso che la fece rabbrividire. E lì iniziò a sfiorare, premere, penetrare… Laura si arrese al piacere, la testa che le girava e il respiro che si faceva più pesante. Ogni tocco era un’esplosione di sensazioni, un fuoco che le percorreva il corpo. «Mmmm,» ringhiò lui, lanciandole un’occhiata maliziosa, «mi piace. Ora andrò a letto sempre con l'uccello in tiro, sapendo che nell'appartamento accanto ci sei tu che dormi senza mutandine.» Le sue parole erano come un incantesimo, accendevano fiamme ovunque. Laura annaspò, cercando un modo per esprimere l’intensità di quella sensazione. «Scopami…» gemette, la voce rotta dall’emozione, mentre si aggrappava a lui, i muscoli tesi per la pressione crescente. Lui continuava a esplorarla, le sue dita si muovevano con una maestria che la faceva impazzire. «Shhh, zitta… Non ancora.» Aveva deciso di farla impazzire, sì, senza ombra di dubbio, quello era il suo intento. Ogni movimento era un invito a perdersi, ma lui sapeva esattamente come tenerla in quel gioco di tensione che l’avrebbe portata sull'orlo dell’estasi. Il corpo di Laura si contorceva, cercando di strusciarsi e annullare, così, quella distanza insopportabile. Portò una mano sulla sua erezione, strizzandola attraverso i pantaloni, ma lui, con un sorriso beffardo, la bloccò. «Se non la smetti, mi costringerai ad ammanettarti.» Ammanettarla? Essere alla sua completa mercé, pronta a subire ogni sua volontà? Continuò a toccarlo con determinazione, finché non udì il clic delle manette che le si chiudevano intorno ai polsi. In un attimo si ritrovò con la faccia al muro, la sottoveste completamente sollevata sui fianchi e il corpo di lui premuto addosso. Il suo membro duro e pulsante la incalzava con un'urgenza che le fece trattenere il fiato. Ogni fibra di lei reagiva alla tensione che cresceva tra loro in un gioco di potere e desiderio impossibile da fermare. «È il mio cazzo che vuoi? Eh? Dillo!» Il respiro caldo di lui le sfiorava l'orecchio. La sua voce roca risuonava come un ordine a cui non voleva sottrarsi. «Sì… ti voglio. Voglio ogni parte di te,» riuscì a rispondere tra i respiri spezzati. Dio, non era più in grado di pensare a nient'altro se non a lui che la riempiva. Perché, dannazione, la faceva aspettare così tanto? Era un tormento, un vero e proprio tormento che, però, le piaceva da impazzire. Sentì le mani di lui stringerla con forza per poi scivolare lungo i fianchi e affondare nella carne, come se volesse marchiarla. La spinse ancora più forte contro il muro, il suo corpo solido che la teneva sospesa tra l’attesa e la resa, mentre le sue labbra tornavano a sfiorarle l’orecchio. «No, non ogni parte di me…» Laura lo sentì armeggiare con la zip dei pantaloni, poi uno strappo netto, probabilmente la bustina del preservativo. «Tu puoi avere solo il mio cazzo.» E subito si sentì riempire, le pareti interne che si adattavano e lo accoglievano, mentre un brivido di piacere le percorreva la schiena. Tutti i pensieri erano svaniti, sostituiti da un desiderio primordiale che le toglieva il respiro. Con una mano le teneva i polsi contro il muro, e con l'altra le arpionava il fianco, mentre la penetrava con stoccate forti e decise. Ogni spinta era una scarica di desiderio, un ritmo che la travolgeva nel profondo, fino a farle perdere la cognizione di sé e del mondo. Non le importava più di niente e di nessuno. Avrebbero potuto vederla? Non le importava. Lui la stava usando? Non le importava. Sua moglie avrebbe sofferto? Non le importava. Era tutto sbagliato? Non le importava. Non c'era più tempo per i dubbi, né per i rimorsi. Il respiro di lui era caldo e affannato contro la sua pelle, e il modo in cui la teneva prigioniera la faceva sentire viva, desiderata. Ogni volta che affondava in lei, sentiva un'ondata di piacere che la attraversava, portandola più in alto, oltre ogni limite. Non pensava più alle conseguenze, al dolore degli altri; l'unica cosa che esisteva era quella connessione, quel desiderio che la consumava e la trasformava. Tutto ciò che contava era quello, niente altro. Si morse forte il labbro inferiore per trattenere i gemiti, e iniziò ad assecondare i colpi, lasciandosi andare senza riserve. Lui intensificò il ritmo, le stoccate divennero sempre più profonde, colpendola in modo preciso, accendendo un fuoco che si diffondeva in ogni parte. Ogni volta che la riempiva, si sentiva più viva. «Lo senti?» sussurrò, con una passione feroce che le incendiava i sensi. Il respiro di lui si era fatto più irregolare, evidenziando quanto fosse vicino al limite. «È solo per te. Solo. Per. Te.» E la travolse con un ultimo slancio, mentre lei esplodeva in un orgasmo intenso. Ogni cellula del suo corpo tremò di piacere, come se stesse volando. In quell’istante, tra desiderio e appagamento, si abbandonò completamente, consapevole di essere esattamente dove voleva essere: con Fabio, l'oggetto dei suoi desideri inconfessabili, il suo tormento, colui che – ora lo sapeva – era in grado di toccare le corde più intime della sua anima. Mentre l'intensità emotiva andava scemando, la realtà tornò a colpirla con la forza di un fulmine. Lui si distaccò, liberandosi del profilattico, e si sistemò i pantaloni. «Devo andare al lavoro,» disse, lanciandole un ultimo sguardo ammiccante. Poi le tolse le manette, se le agganciò al fianco e le voltò le spalle. Laura lo guardò allontanarsi, mentre un vuoto doloroso si faceva strada nel suo petto. Ogni suo passo sembrava portare via anche un pezzo del suo cuore, lasciando solo un’eco di ciò che era appena accaduto. Le mancava già, le mancavano le sue mani, il modo in cui la guardava, il calore del suo corpo, il suono della sua voce che ancora le risuonava nella testa. Quella connessione, così potente e travolgente, l’aveva segnata in profondità, e ora che lui la stava lasciando, il mondo sembrava tornare a essere grigio e monotono. Si sentiva di nuovo sola, abbandonata. L'eccitazione che l'aveva consumata stava lasciando spazio a una profonda malinconia, come se il momento che avevano condiviso fosse evaporato in un istante, lasciando solo un'eco lontana. È davvero così che doveva andare? si domandò. No, non era così che se lo era immaginato. Sì, la passione era quella, forse anche il luogo, le circostanze, ma non l'epilogo. Essere lasciata nuda, in un giardino, senza una parola, senza neanche un bacio che sigillasse quel momento… no, non era così che sarebbero dovute andare le cose. Le sembrava che ogni parte di lei fosse stata usata e poi abbandonata, come un giocattolo rotto. Si strofinò le braccia, cercando di scacciare la sensazione di freddo che l'aveva invasa. Un gesto inutile, dal momento che si trattava di un gelo profondo, un'ombra crudele che le avvolgeva l'anima. Poi si toccò i polsi, portavano ancora il segno delle manette, ma quel segno ora sembrava un promemoria di ciò che non sarebbe mai potuto essere. La verità la colpì con forza: aveva desiderato quell'incontro più di quanto avesse mai pensato. E ora, dopo aver assaporato il piacere, la nostalgia di una connessione più profonda la lasciava insoddisfatta. Si sentiva come se avesse assaporato solo una briciola di quello che veramente desiderava. Un’onda di frustrazione la travolse. Era stato un momento intenso, ma non le bastava. Sentiva ancora quel maledetto desiderio pulsare dentro di lei, un'urgenza bruciante che la spingeva a volere di più, a volere tutto, con una voracità insaziabile. Non c’era spazio per la paura né per i rimorsi; solo un bisogno animalesco di sentirlo dentro, di assaporare ogni singolo momento, di esplorare ogni angolo oscuro del loro desiderio senza mai fermarsi. Era una lotta tra la ragione e il suo istinto primordiale, e l'istinto stava vincendo. Voleva abbandonarsi a lui, lasciarsi travolgere dalla passione in una frenesia che le facesse dimenticare tutto il resto. Era pronta a lasciarsi andare, a sprofondare in un oceano di piacere e perdizione, senza alcuna pietà per il domani. Voleva scopare con una ferocia che le togliesse il respiro, senza limiti di tempo, di spazio e di emozioni. Voleva che ogni colpo fosse un'esplosione di piacere, che il suo corpo si piegasse e si contorcesse sotto di lui, completamente suo. Sognava di non fermarsi mai, di fondersi in un’unica carne, dove l’atto stesso di scopare diventasse un rito di pura liberazione. Voleva sentire il suo respiro affannato mescolarsi al suo, i loro corpi che si univano in un turbinio di sensualità, fino a perdere ogni senso di sé. Voleva che il mondo esterno si dissolvesse, che il rumore e le preoccupazioni svanissero, mentre i loro corpi diventavano un tutt'uno, una danza di corpi che si cercavano e si trovavano, un ritmo sfrenato di passione pura. Nel frattempo, però, le conveniva rientrare se non voleva essere sorpresa lì dai netturbini che passavano a ritirare l'immondizia. Si risistemò e tornò in casa, la mente confusa e il cuore ancora in tumulto. Si diresse in bagno, si tolse la sottoveste con un gesto rapido e deciso, e si infilò sotto la doccia. L'acqua le scorreva lungo il corpo, portando via i segni della tristezza, ma non quelli della passione. Si passò le mani sui fianchi, richiamando alla mente la sensazione di lui, il suo respiro caldo e le parole sussurrate all'orecchio che le avevano acceso il fuoco dentro. Nonostante la delusione, il piacere che aveva provato era innegabile. Chiuse gli occhi, lasciando che il vapore avvolgesse ogni centimetro della sua pelle, e si lasciò andare ai ricordi. Quando si rimise a letto, questa volta senza niente addosso, fece un patto con sé stessa: non si sarebbe lasciata abbattere da ciò che non poteva avere. Avrebbe, invece, custodito la passione che aveva vissuto, permettendo a quel fuoco di alimentare la sua anima. La vita è fatta di momenti, pensò, pronta a lasciarsi alle spalle il passato e abbracciare ciò che sarebbe potuto arrivare. La sua vita continuava, e con essa, anche le possibilità di nuove esperienze, nuove passioni. E chi sa? Forse un giorno avrebbe trovato qualcun altro in grado di accendere di nuovo quel fuoco. Ma per ora, era soddisfatta di avere avuto il coraggio di vivere quel momento, un attimo di straordinaria intensità che l'aveva cambiata per sempre.

Copyright © 2024 di Antonella Scarfagna
Genere: Racconto Erotico
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nel giorno 2024-10-28 18:05:56 UTC,
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Questa è una storia di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi, istituzioni e avvenimenti sono tutti inventati e ogni riferimento o somiglianza della storia con fatti, persone e luoghi realmente esistenti o esistite è puramente casuale
Contiene numerose scene di sesso esplicito, quindi se ne consiglia la lettura a un pubblico adulto.














