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Flame vol.2

1. Isa

 

Lentamente, sollevai le palpebre cercando di mettere a fuoco la stanza. Era inondata di luce, feriva gli occhi. Al diavolo! Quelle finestre avevano davvero bisogno di tende. Erano mesi che me lo ripetevo, poi, immancabilmente, c’era sempre qualcos’altro da fare, e il numero della interior designer restava ad ammuffire nella borsa. E la mancanza di tempo era solo una scusa. In verità non volevo privarmi della sensazionale vista sulla Baia a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ammirare il tramonto sorseggiando del buon vino o dopo aver fatto l’amore, era straordinario, così come osservare il blu del Pacifico al mattino, mentre facevo colazione, oppure restare con Luca sul divano, abbracciati, a osservare la pioggia che sferzava i vetri; o svegliarmi nel cuore della notte per andare in bagno e sostare per qualche minuto a fissare la luna dal trentacinquesimo piano, a ben oltre cento metri di altezza. Be’, quello era più che straordinario.

Cento metri, vi rendete conto? Avevo quasi la sensazione di abitare in aria. Certe volte poggiavo le dita sul vetro e mi sembrava di toccare il cielo. Ecco la vera ragione per cui le tende sarebbero state una spesa inutile, tanto le avrei tenute sempre aperte.

Chiusi gli occhi e mi girai verso la parete, mettendo la testa sotto il cuscino. Pochi piccoli movimenti che mi fecero gemere di dolore. Accennai un sorriso ripensando alla notte appena trascorsa. Ero venuta…  Quante volte? Quattro? Sei? Boh, non me lo ricordavo più. So solo che a un certo punto lo avevo supplicato di smettere. Ogni centimetro di pelle si era sensibilizzato al punto da dolermi.

Ebbene sì, in quello Luca non era cambiato affatto. Faceva sesso con lo stesso ardore di sempre, anzi, se possibile era anche più impetuoso. Era affamato di me, del mio sapore, del profumo della mia pelle. Non c’era centimetro del mio corpo che non avesse baciato, accarezzato con le sue mani forti e decise, che non avesse morso lasciando il segno, e leccato subito dopo per farsi perdonare. Nessuna parte di me, nessuna mia reazione erano più un segreto per lui, eppure ogni volta mi amava come se fossi ancora tutta da scoprire.

Ne ero felice? Oh, no. Felice era un termine riduttivo per descrivere quanto mi facessero stare bene le sue attenzioni. Ero felice all’ennesima potenza. Sarei potuta addirittura morire di felicità.

Allungai il braccio alla mia sinistra. L’altra metà del letto era vuoto, le lenzuola tiepide.

Tesi l’orecchio. Sentii l’acqua scorrere nella doccia, poi il rumore della porta del box che si apriva. Sorrisi, immaginando il suo corpo nudo, quel corpo che non era più un segreto neppure per me, quel corpo che mi faceva impazzire vederlo vibrare sotto il mio tocco, che non mi stancavo mai di ricoprire di baci, su cui amavo passare la lingua per sentirne il sapore e farlo fremere di piacere. Se qualcuno mi avesse detto che prima o poi tutto quello mi sarebbe venuto a noia, gli avrei risposto: «Sei pazzo! Siete tutti pazzi, tutti! Io lo amo, e sarà così per sempre.»

Non mi sarei mai stancata di lui. Una passione sopravvissuta a dieci anni di lontananza, tra tanti ostacoli e difficoltà, non sarebbe mai finita.

A un tratto il lenzuolo venne tirato via e subito dopo delle gocce d’acqua mi colpirono la schiena. Agitai il braccio. «Ah, nooo! Vattene via!»

Risi, dibattendomi per sfuggire ai suoi denti che affondavano in un gluteo.

«Mmm…  Adoro questo culo.»

Poi, con la lingua delineò il solco in tutta la sua lunghezza, dal centro, tra le gambe, fino a su.

Tirai fuori la testa da sotto il cuscino.

«Dai, smettila…»

Il tentativo di sfuggirgli era perfettamente inutile. Si era seduto a cavalcioni sulle caviglie, immobilizzandomi col suo peso.

«Potevi almeno asciugarti i capelli. Mi stai bagnando tutta.»

Scosse il capo e io rabbrividii per il susseguirsi di gocce fredde che mi colpirono.

Si allungò fino a raggiungere il mio orecchio. «Ti preferisco bagnata da un’altra parte,» sussurrò.

Con due dita andò ad accarezzare la carne ancora sensibile, e le spinse dentro delicatamente. Questa volta il brivido fu di piacere e si propagò attraverso il corpo come una saetta.

«Mmm…  Non farlo.»

«Ti fa male?»

«Diciamo che più che infilarci le dita o qualcos’altro, avrei bisogno di cubetti di ghiaccio. Ho reso abbastanza l’idea?»

Rise e mi leccò il lobo. «Mi piace l’idea. Ora vado a prenderlo.»

Si ritrasse e scese immediatamente dal letto.

«Nooo!»

Mi girai a guardarlo, mentre lasciava la stanza con un sorriso giocoso sulle labbra e uno sguardo carico di promesse. Sapevo già che fine avrebbe fatto quel ghiaccio. Ci avrebbe giocato, e mi avrebbe eccitata al punto da farmi dimenticare il dolore sostituendolo con tanto piacere, un piacere quasi estenuante. Solo che poi mi sarei dovuta far ospitare da un eschimese e restare seduta sul pavimento del suo igloo per almeno una settimana.

Mi sollevai a sedere e mi guardai attorno, combattuta. No, non potevo partecipare a un altro round di sesso sfrenato, nella maniera più assoluta.  Mi conveniva chiudermi in bagno prima che tornasse con qualche giochetto erotico improvvisato.

Poi, per fortuna, la suoneria del suo cellulare riempì la stanza, proprio mentre appariva sulla porta. Si avvicinò al comodino e fissò il display.

Lo guardai incuriosita. «Che fai? Non rispondi?»

Sollevò le sopracciglia e fece una smorfia rassegnata. «È quel rompipalle di Claudio.»

Sembrava seccato, ma ero certa che in fondo in fondo gli facesse piacere sentirlo. Da quando aveva mandato a monte il matrimonio con Corinne ed era venuto a prendermi per portarmi a Vancouver, con la sua famiglia era in atto una sorta di guerra fredda. Sua madre, che ormai rifiutavo di chiamare zia, dato l’odio che manifestava apertamente nei miei confronti, faceva da intermediario diplomatico inviato a sondare il terreno e a forzare il ravvedimento del figlio, irretito da quella troietta, ma ogni volta falliva miseramente. A onor del vero, solo tra Luca e i suoi genitori c’era aperta discordia. Sua sorella Giulia, in tutta quella storia non c’era voluta entrare. Solo una volta sua madre l’aveva costretta a chiamare il fratello per tentare di farlo rinsavire, ma Luca l’aveva mandata a quel paese, intimandole di starne fuori. E Giulia aveva imparato la lezione perfettamente, ne stava fuori e neppure lo chiamava. L’unico ancora dalla nostra parte era Claudio, che si guardava bene dal manifestarlo pubblicamente, altrimenti i genitori avrebbero disconosciuto anche lui. 

«Rompipalle, che c’è? Mi hai disturbato nel bel mezzo di una sessione di sesso hard con tua cugina.»

Ma che svergognato! Gli lanciai addosso un cuscino. Lui lo parò con una mano, rilanciandomelo, poi uscì sul terrazzo col telefono all’orecchio.

Mi sedetti sul letto a osservarlo, l’asciugamano attorno ai fianchi, la schiena ancora ricoperta di goccioline che scivolavano sui muscoli tesi, i capelli bagnati… Dio, non mi sarei mai stancata di quell’uomo. Mai.  

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